venerdì 31 luglio 2009

il mito di Orfeo ed Euridice da Ovidio

IL MITO DI ORFEO ED EURIDICE.
Inde per inmensum croceo velatus amictu
aethera digreditur Ciconumque Hymenaeus ad oras
tendit et Orphea nequiquam voce vocatur.
adfuit ille quidem, sed nec sollemnia verba
nec laetos vultus nec felix attulit omen. 5
fax quoque, quam tenuit, lacrimoso stridula fumo
usque fuit nullosque invenit motibus ignes.
exitus auspicio gravior: nam nupta per herbas
dum nova naiadum turba comitata vagatur,
occidit in talum serpentis dente recepto. 10
quam satis ad superas postquam Rhodopeius auras
deflevit vates, ne non temptaret et umbras,
ad Styga Taenaria est ausus descendere porta
perque leves populos simulacraque functa sepulcro
Persephonen adiit inamoenaque regna tenentem 15
umbrarum dominum pulsisque ad carmina nervis
sic ait: 'o positi sub terra numina mundi,
in quem reccidimus, quicquid mortale creamur,
si licet et falsi positis ambagibus oris
vera loqui sinitis, non huc, ut opaca viderem 20
Tartara, descendi, nec uti villosa colubris
terna Medusaei vincirem guttura monstri:
causa viae est coniunx, in quam calcata venenum
vipera diffudit crescentesque abstulit annos.
posse pati volui nec me temptasse negabo: 25
vicit Amor. supera deus hic bene notus in ora est;
an sit et hic, dubito: sed et hic tamen auguror esse,
famaque si veteris non est mentita rapinae,
vos quoque iunxit Amor. per ego haec loca plena timoris,
per Chaos hoc ingens vastique silentia regni, 30
Eurydices, oro, properata retexite fata.
omnia debemur vobis, paulumque morati
serius aut citius sedem properamus ad unam.
tendimus huc omnes, haec est domus ultima, vosque
humani generis longissima regna tenetis. 35
haec quoque, cum iustos matura peregerit annos,
iuris erit vestri: pro munere poscimus usum;
quodsi fata negant veniam pro coniuge, certum est
nolle redire mihi: leto gaudete duorum.'
Talia dicentem nervosque ad verba moventem 40
exsangues flebant animae; nec Tantalus undam
captavit refugam, stupuitque Ixionis orbis,
nec carpsere iecur volucres, urnisque vacarunt
Belides, inque tuo sedisti, Sisyphe, saxo.
tunc primum lacrimis victarum carmine fama est 45
Eumenidum maduisse genas, nec regia coniunx
sustinet oranti nec, qui regit ima, negare,
Eurydicenque vocant: umbras erat illa recentes
inter et incessit passu de vulnere tardo.
hanc simul et legem Rhodopeius accipit heros, 50
ne flectat retro sua lumina, donec Avernas
exierit valles; aut inrita dona futura.
carpitur adclivis per muta silentia trames,
arduus, obscurus, caligine densus opaca,
nec procul afuerunt telluris margine summae: 55
hic, ne deficeret, metuens avidusque videndi
flexit amans oculos, et protinus illa relapsa est,
bracchiaque intendens prendique et prendere certans
nil nisi cedentes infelix arripit auras.
iamque iterum moriens non est de coniuge quicquam 60
questa suo (quid enim nisi se quereretur amatam?)
supremumque 'vale,' quod iam vix auribus ille
acciperet, dixit revolutaque rursus eodem est.
Non aliter stupuit gemina nece coniugis Orpheus,
quam tria qui timidus, medio portante catenas, 65
colla canis vidit, quem non pavor ante reliquit,
quam natura prior saxo per corpus oborto,
quique in se crimen traxit voluitque videri
Olenos esse nocens, tuque, o confisa figurae,
infelix Lethaea, tuae, iunctissima quondam 70
pectora, nunc lapides, quos umida sustinet Ide.
orantem frustraque iterum transire volentem
portitor arcuerat: septem tamen ille diebus
squalidus in ripa Cereris sine munere sedit;
cura dolorque animi lacrimaeque alimenta fuere. 75
esse deos Erebi crudeles questus, in altam
se recipit Rhodopen pulsumque aquilonibus Haemum.
(P. Ovidi Nasonis Metamorphoseon liber X vv1-77)

TRADUZIONE
Di là s’allontanava, coperto dal suo dorato mantello, per il vasto cielo, Imeneo, andò verso le coste dei Ciconi e venne invocato invano dalla voce di Orfeo. Quello certamente giunse, ma senza i canti nuziali, senza il volto lieto e non portò buoni presagi; anche la fiaccola, che suole stringere nella sua mano, emise, stridula, un fumo portatore di lacrime; benché scossa non divampò. Il risultato fu ancora più grave. Infatti la sposa mentre passeggiava per i prati accompagnata da un gruppo di naiadi, cadde morta penetratole in un piede il dente di un serpente. Il poeta del Rodope dopo che l’ebbe pianta abbastanza nel mondo dei mortali, e per tentar di commuovere anche le ombre, osò discendere fino alla porta Tenaria. Vagò per le turbe leggere delle ombre e dei sepolti, andò al cospetto di Persefone e del signore che tiene il dominio del non bel regno dei morti. Toccate le corde per accompagnare il canto, incominciò: « O dei del mondo posto sotto la terra verso il quale tendiamo a ricadere noi che siamo creati mortali, se è permesso, deposto un discorso che inganna, lasciatemi dire il vero, non discesi qui per vedere il Tartaro senza luce, né per vincere i tre villosi colli di serpente della stirpe di Medusa; la causa della mia venuta è Euridce. nel quale piede una vipera calpestata inoculò il veleno e le sottrasse gli anni fiorenti. Ho voluto poterne sopportare il dolore, non negherò di non aver tentato, ma Amore ha vinto! Questo dio è ben noto sulla terra; mi chiedo se lo sia anche qui, ma mi auguro di si, se non è falso si racconta che anche voi foste uniti da Amore. Per questi luoghi pieni di timore, per questa tenebra infinita e per il vasto regno del silenzio, vi prego, ritessete i fati affrettati di Euridice! Ogni cosa è a voi soggetta, Dopo esserci trattenuti un po’ sulla terra, corriamo, chi prima chi dopo, verso una sola sede. Tutti noi tendiamo qui,m questa è l’ultima dimora, voi tenete il dominio più durevole sul genere umano. Anche lei, quando vecchia saranno volti alla fine gli anni della sua vita, sarà a buon diritto vostra. ve la chiedo solo in prestito. E se i fati negano il perdono per la sposa, è certo che io non vorrò tornare, in tal modo godrete per la morte di due!» Mentre diceva queste cose e muoveva le corde accompagnando il canto, le anime esangui piangevano, Tantalo non cercava di carpire l’onda che rifugge e si fermò la ruota di Issione né gli avvoltoi rosero il fegato a Tizio, le Belidi lasciarono stare le brocche, infine tu, Sisifo, facesti cadere il tuo masso e vi sedesti sopra. E’ fama, che allora, per la prima volta si bagnarono di lacrime, per la commozione, le guance delle Eumenidi, né i re ebbero il coraggio di opporsi alle preghiere, e fecero chiamare Euridice. Ella era tra le ombre recenti e incedette con il passo lento per la ferita. Orfeo Rodopeio la prese per la mano e ricevette l’ordine di non volgere dietro gli occhi, finché non fosse uscito dall’Averno, o sarebbe stato inutile il dono. S’ avviano per l’erto, oscuro sentiero, pieno di caligine opaca, attraverso i muti silenzi. Non eran molto lontani dalla uscita degli inferi, lì, temendo che non ci fosse, avido di vederla voltò gli occhi: e subito lei ricadde avanzando le braccia tentando di prendere lui e di essere ripresa: infelice non afferro nient’altro ché che l’aria che vola via. Morendo per una seconda volta, non ha nulla da rimproverare al marito, se non il fatto di essere stata amata. Fu l’ultimo saluto, saluto che giunse a stento. E tornò nuovamente nello stesso luogo. Orfeo si raggelò per la seconda morte dell’amata, come colui che pieno di spavento vide Cerbero dai tre colli essere incatenato per quello di mezzo e trascinato fuori dagli inferi, il cui timore non svanì prima che tornò la natura di prima, trasmutato egli in sasso. O come Oleno che volle essere considerato colpevole, e te infelice Letea, che, altera, confidasti troppo della tua bellezza, cuori una volta molto uniti, ora siete pietre, che s’innalzano sull’umido Ida. Orfeo pregando invano e volendo entrare per una seconda volta aveva supplicato Caronte, sedette per sette giorni sulla squallida riva, senza toccare cibo: gli furono alimento la preoccupazione, il dolore dell’animo e le lacrime. Dopo essersi lamentato della crudeltà degli dei dell’ebro, si rifugiò sull’elevato Rodope e sull’Emo colpito dagli Aquiloni.

1 commento:

  1. sembra un film, attraverso lanebbia deldolore e la angoscia dell'amore perso

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